Prologo
Vi sono nelle case oggetti che da sempre fanno parte della nostra vita, cose che nel quotidiano usiamo ed abbiamo intorno a noi; spesso le guardiamo senza pensare che hanno una loro storia, soprattutto le più antiche; e quel secrétaire a abbattant, o ad armadio, stile impero, che vedevo tutti i giorni nello studio di casa, in pioppo massiccio e abete lastronato in noce, mi aveva fin da bambino sempre incuriosito.
Gli intarsi in motivi geometrici in legni policromi, tutti quei cassetti, cassettini e segreti, le piccole aperture non visibili agli occhi di molti, erano per me bambino uno splendido gioco dove poter nascondere tanti piccoli oggetti preziosi come tesori.
Da ragazzo quella scrivania così particolare era diventata il posto dove leggere e studiare, un uso quindi più consono; ma comunque continuava ad essere il piccolo mondo in cui rifugiarmi appena possibile: lì leggevo i miei libri preferiti e fantasticavo, sognando di essere il protagonista di mille avventure.
Da grande ho voluto conoscere la storia di quella scrivania, che mio nonno chiamava il secrétaire della Badessa.
Ma chi era la Badessa?
-Vedi Giulio – disse mio padre – Maria Vicarelli è una nostra antenata, vissuta più di due secoli fa, e questo mobile è stato il compagno della sua vita; ora ti racconto la sua storia……
CAPITOLO 1
Era sempre bello tornare a casa, quel palazzetto al centro di Perugia nel rione di Porta Eburnea, con quel grande giardino dove da piccola giocavo con i miei fratelli, e con la torre che si incunea nelle mura cittadine, rappresentava per me il più desiderabile dei rifugi.
Iniziavano le vacanze estive e potevo finalmente rientrare dal collegio dove passavo buona parte dell’anno.
Ero sempre l’ultima a tornare, il mio collegio era lontano, in Piemonte, sulle colline sopra Torino, un collegio per ragazze di buona famiglia dove ti insegnano a diventare una buona moglie e una buona madre; sicuramente a me andava stretto perché, fin da piccola, avevo avuta la fortuna di studiare cose diverse, di avere un’educazione simile ai miei fratelli Vincenzio ed Ercolano, poco più grandi di me.
Mio padre Pietro aveva preso un precettore che si occupava di loro per seguirli negli studi, ed io che ero molto curiosa, spesso spiavo le lezioni impartite a Vincenzio ed Ercolano, rimanendo affascinata dalle storie di Attilio Regolo, di Giulio Cesare e di Alessandro Magno, che mi sembravano bellissime favole.
Mio padre rimase sorpreso da questi miei interessi, avevo appena sette anni e, forse per mettermi alla prova, chiese al precettore di accogliermi tra i suoi allievi.
Don Antonio all’inizio fu contrario all’idea che una femmina studiasse come un maschio, ma poi dovette ricredersi.
Mi impegnavo tantissimo per raggiungere i miei fratelli, e in breve seppi tutto quello che c’era da sapere per tradurre Lucrezio o Virgilio, ero una buona allieva e Vincenzio mi aiutava moltissimo, soprattutto di sera, per colmare le inevitabili lacune.
Vincenzio aveva undici anni, quattro più di me, era un sognatore e nutriva una forte passione per la storia dell’Arte e per l’architettura; mi mostrava volumi pieni di quadri e di strutture di tutte le epoche spiegandomi le tante differenze di stili e di periodi storici.
Quel pomeriggio di fine giugno, quando le giornate sono limpide e la natura è all’apice della sua bellezza e del suo rigoglio, il rientro a casa mi apparve ancora più bello; avevo quindici anni e tutto mi sembrava magnifico, considerando anche il lungo periodo da passare con i miei.
Non ne vedevo l’ora, avevo nostalgia della mia famiglia, e al portone di casa la signora Elda, la nostra governante, mi aspettava:
-Ben tornata signorina Maria – mi salutò con aria materna e affettuosa.
Feci un bel bagno, ci voleva proprio dopo quel viaggio senza fine da Torino a Perugia durato più di una settimana.
Pietro era soddisfatto della sua vita, aveva una bella famiglia, una brava moglie, e tutto sembrava andare per il giusto verso.
Classe 1747, Pietro era un uomo tutto di un pezzo, di profonda religiosità; così era stato cresciuto, rispettoso dei precetti di Santa Madre Chiesa.
Discendente da antica famiglia era nato e aveva passato gli anni della primissima giovinezza a Ponte Felcino, nella casa di campagna tra le sue proprietà; fin da ragazzo si era appassionato agli studi di Agraria e li aveva completati nell’Ateneo perugino; giovanissimo aveva sposato Maddalena, era bella Maddalena, ma non era la sua unica dote: la ragazza aveva molto buonsenso ed era divenuta la sua migliore consigliera; lui l’ascoltava e teneva gran conto delle sue idee.
Lo aveva sempre fatto ma purtroppo non quella volta, ed ora Pietro era molto preoccupato.
Da alcuni anni aveva investito buona parte del suo capitale in azioni; sembrava una decisione ottima, la Compagnia Britannica delle Indie Orientali era solida, creata nel 1600 era riuscita in pochissimo tempo ad affermarsi come la più potente. Queste compagnie erano nate non solo come associazioni nazionali di mercanti impegnati nei commerci con le Indie Orientali e Occidentali, ma anche per volontà dei governi, e nel tempo erano divenute protagoniste della colonizzazione del mondo da loro trafficato e della costruzione di un mercato unico sotto l’egemonia europea.
Tra tutte la Compagnia Inglese, in meno di due secoli, era divenuta la più potente, e progressivamente aveva preso il sopravvento sia sulla Compagnia Olandese che su quella Francese, compagnie che condusse alla rovina conquistandone tutti i possedimenti in India; la sua storia era entrata a fare parte della storia dell’Impero Britannico, divenendo l’impresa commerciale più importante dell’epoca, estendendo i suoi traffici in sempre più vasti territori, e assumendo spesso la funzione di una sorta di governo locale.
Ma con questo ingrandirsi la gestione amministrativa si era presentata più complicata del previsto ed erano scoppiati gravi casi di corruzione dovuti a funzionari inclini al malaffare; e in seguito a questi scandali il Governo inglese aveva annunciato il suo intervento sulla Compagnia, intervento le cui conseguenze non erano prevedibili.
Pietro temeva fortemente che alla Compagnia succedesse quello che era accaduto al quella Francese, che ora rischiava la bancarotta.
Che fine avrebbero fatto le sue rendite? Se fossero divenute carta straccia per lui sarebbe arrivata la rovina e non sarebbe stato in grado di sopportare una tale vergogna.
La sua incapacità avrebbe disonorato la famiglia, i suoi ragazzi che avrebbero pensato di lui?
Ma che poteva fare? Sicuramente niente di concreto, lui era solo uno dei migliaia di azionisti; doveva solo aspettare e pregare, e per Pietro pregare era un’abitudine che lo sollevava molto.
Frequentava attivamente la comunità religiosa di Ponte Felcino anche dopo essere tornato a vivere nel palazzo di Perugia, era devoto a San Felicissimo patrono di Ponte Felcino, e si sentiva molto legato a quella chiesa di cui conosceva, anche attraverso l’archivio di famiglia, le tormentate vicissitudini; si perché dopo la distruzione della prima, intitolata al giovane martire cristiano, in epoca medievale ne era stata eretta una seconda, in collina di fronte al paese.
Costruita però su terreno instabile già dalla metà del ‘500 era stata interessata da continui dissesti statici, e malgrado i periodici lavori di consolidamento era arrivata a deteriorarsi a tal punto che nel 1768 il vescovo di Perugia Filippo Amadei ne aveva disposto la demolizione, evento che lui ricordava con profonda tristezza perché rappresentava una parte di storia del territorio che se ne andava; tutte le opere d’arte, tra cui la pregevole tavola di scuola senese che raffigurava una Maestà attorniata da San Felicissimo e dal vescovo San Costanzo, patrono di Perugia, erano quindi state trasferite nella attuale chiesa più a valle, già dedicata a San Giacomo, ritenuta sicura per accogliere i fedeli e intitolata ex novo a San Felicissimo.
Pietro amava questa chiesa, la sentiva come una seconda casa e la frequentava con assiduità, fermandosi a pregare e a meditare davanti al grande Crocifisso dell’altare maggiore; preferiva andare quando la chiesa era vuota, lontano dall’orario delle messe, e in quel periodo tanto buio della sua vita pregare e dedicarsi alle funzioni di Priore erano gli unici momenti di sollievo della giornata.
Sentiva di non poter parlare con nessuno e tanto meno con Maddalena, lei non aveva mai visto di buon occhio quelle speculazioni e lo aveva anche messo in guardia:-Pietro siamo in un periodo di grandi cambiamenti, è un rischio troppo grande.”
Aveva ragione Maddalena, di cambiamenti ce ne erano stati e continuavano ad esservi, e non solo nell’ambito geopolitico; tirava un’aria nuova, nuove idee portate dal movimento culturale dei Lumi provenivano dalla Francia, si sentiva che tutto era in movimento.
Le nuove idee avevano coinvolto anche lui, aveva cercato di capirne lo spirito e voleva approfondirle; la definizione stessa di Illuminismo era interessante, s’era documentato e ne faceva motivo di riflessione.
Il filosofo tedesco Immanuel Kant proprio in quell’anno, il 1784, aveva definito l’Illuminismo come l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità che egli deve imputare a sé stesso, minorità dovuta all’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro; questo concetto lo fece riflettere, ne capì l’importanza e comprese che una specie di rivoluzione sociale e politica ne sarebbe scaturita.
Tutto sarebbe cambiato da lì a poco, ne era sicuro, le nuove idee erano troppo forti per non portare profondi mutamenti.
Quando quatto anni prima aveva incontrato il signor Giovanni, il rappresentante della Compagnia delle Indie, ed avevano parlato a lungo di affari e di investimenti; ciò che il signor Giovanni proponeva sembrava tranquillo, e non gli venne certo in mente che poteva perdere tutto quello che aveva.
Era molto sicuro di sé il signor Giovanni nell’illustrare i buoni profitti della sua compagnia, e oggettivamente anche lui si era informato prima di accettare; le lettere che il signor Giovanni mandava regolarmente erano sempre precise e dettagliate, e le rendite delle azioni erano molto soddisfacenti.
Nell’ultimo periodo però qualcosa era cambiato, lo percepiva dal fatto che le informazioni si facevano sempre più vaghe, mentre una velata preoccupazione si leggeva tra le righe; e poi tutti quegli scandali di corruzione che coinvolgevano sempre più dei funzionari della Compagnia delle Indie, e le notizie in merito che venivano da Londra, lo preoccupavano molto e lo facevano vivere nell’angoscia.
E infine quell’ultima lettera…
Londra, 4 marzo 1784
Illustrissimo dott. Pietro,
Mi trovo a Londra per seguire i recenti eventi politici. Non voglio allarmarvi ma non posso neanche tacere quello che sta accadendo. La situazione è molto confusa, c’è un nuovo Primo Ministro, il giovane William Pitt che ha l’appoggio di Re Giorgio III, ma non ha la maggioranza in Parlamento; qui si parla di nuove elezioni e un intervento sulla questione che ci sta a cuore da parte di chiunque vincerà le elezioni, è ormai certo e imminente. Non vi so dire ancora quanto sarà incisivo e cosa comporterà per i nostri interessi ma dei cambiamenti ci saranno. Spero che tutto andrà per il meglio. Vi saluto e vi farò sapere appena possibile.
Vostro Giovanni
CAPITOLO 2
Un intervento sulla questione che ci sta a cuore ….